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Dal libro “Nei laboratori dell'arte”
tep ed. d'arte – Piacenza
Un
quadernetto sgualcito con alcuni disegni tracciati a pastello. Un paesaggio
egiziano con le piramidi e un minareto, un ritratto appena abbozzato,
un veliero che a vele spiegate naviga verso chissà dove, sulle
pagine bianche, ma ormai ingiallite, di quel piccolo atlantino qualcuno
a tracciato degli schizzi tra una carta geografica e l'altra. In ultima
pagina la tavola del mar Mediterraneo orientale ed i contorni frastagliati
della Turchia con le isole dell'Egeo. “Mio padre Giuseppe
era un insegnante di scuola elementare e durante la guerra con il grado
di tenente del genio pontieri fu inviato proprio lì, nel Dodecanneso.
Morì a Kos, nell'Egeo, fucilato dai tedeschi dopo l'otto settembre”.
Giuseppe Pizzi, padre dello scultore Franco e della pittrice Gaby partì
nel marzo del quarantatre per il fronte in Grecia. A giugno dello stesso
anno nasce Franco ma cinque mesi dopo il plotone di esecuzione metterà
fine ad una vita troppo breve.“Per noi, soprattutto da ragazzi,
l'unico ricordo di nostro padre erano le sue fotografie e questo piccolo
libricino che sfogliavamo con nostalgia”.
L'immagine idealizzata del padre ha preso forma in una scultura che l'artista
ha realizzato nel 1978 per il sacrario di Sermoneta in provincia di Latina:
un monumento ai caduti dell'Egeo in cui campeggia la figura stilizzata
di un condannato alla fucilazione ripreso proprio nell'attimo del supremo
sacrificio, con i fori dei proiettili che ne oltrepassano il corpo ed
il volto trasfigurato con la bocca socchiusa in un ultimo anelito vitale
e dietro il tronco di un albero, forse a ricordare il sacro legno della
Croce, simbolo di un altro Sacrificio.
Nei suoi lavori, e non solo in quello appena descritto, Pizzi trasferisce
i propri stati d'animo, le proprie sensazioni, i propri convincimenti.
Sempre ci si trova di fronte ad opere da cui traspare un carattere schivo,
discreto, più portato ad interiorizzare che ad esprimersi in modo
estroverso...............E ci mostra una scultura che a intitolato “I
profughi” e che rimanda alla Bosnia, al Kosovo, a Timor Est, popoli
interi che si spostano, profughi che fuggono a violenze di ogni genere.
In questi lavori c'è più introspezione, Pizzi ha abbandonato
i fiori per qualcosa di più profondo che va alla radice senza per
questo dimenticare completamente il lavoro precedente................Avvicinandoci
alla porta dello studio per salutarci lo sguardo corre per un attimo al
tavolo sul quale è rimasto il piccolo atlantino con i disegni del
padre; Pizzi non l'ha mai incontrato ma forse a pensarci bene lo incontra
ogni volta che muove la materia tra le mani per creare una nuova opera,
ieri come domani.
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MILENA MILANI
Arte, dono infinito.
Dal “Il gazzettino di Venezia" (1991) – mostra di Franco Pizzi
a Cortina d'Ampezzo.
.....Talvolta pensavo che i fiori, nelle loro forme sublimi, avvrebbero
potuto crescere, ingigantirsi, diventare sculture, monumenti. Tutto era
già inventato, esisteva sulla terra, sotto la luce del sole. Bastava
saper guardare, assimilare quei contenuti, quelle linee, così nuove,
eleganti, sensibili, e le sculture–fiore
avrebbero avuto lunga vita, per la gioia di ognuno di noi.
All'ombra di stami e pistilli, di eterei steli, di calici soavissimi,
sarei rimasta tranquilla perchè avevo trovato il mio riparo, quell'oasi
sbocciata e ferma, che non avrebbe avuto una fine, un decadimento.
Lo scultore Franco Pizzi, artista visionario, ha fatto suo il mio desiderio,
lo ha realizzato a mia insaputa, e ora con le sue fusioni a cera persa,
offre a me e a tutti queste sculture di bronzo dorato, esemplari unici,
che hanno la levità di veri fiori, di quei sogni dagli strani nomi:
giglio d'acqua, pervinca, stella alpina , mughetto.....
Parole estrose, sillabe dolci, che io pronuncio ammaliata, perchè
ricordo quanto diceva mio padre, e anche il pittore Filippo de Pisis che
conosceva il latino, e per ogni fiore aveva quello giusto senza sbagliarsi
mai.
De Pisis dipngeva spesso i fiori, una volta per me fece un acquarello
dove c'erano alcune zinnie in un bicchiere, me lo regalò a Venezia,
eravamo nel suo studio a San Barnaba.
I fiori hanno tanti poteri, e le sculture–fiore li raddoppiano,
li centuplicano. A Cortina d'Ampezzo, dove Pizzi espone le sue opere,
c'è questo vago mistero di sessualità. I fiori sono il complesso
degli organi di riproduzione delle piante fanerogane, organi differenziati
maschili e femminili, racchiusi all'interno, ma anche manifesti, visibili,
teneri e orgogliosi insieme,
fulcro della vita, lampo di poesia, di fantasia. Pizzi li ha spiritualizzati,
come se avessero un alone musicale, un brivido di note insistente, qualcosa
che si distacca dalle strutture per comunicare con il mondo soprannaturale.
Estasi? O fuoco che brucia non chiediamo spiegazioni, anch'io accetto
quello che vedo, perchè le trasformazioni avvengono non si sa come,
per imperscrutabili vie. Quelle dell'arte, dono infinito.
Cortina d'Ampezzo, 29 novembre 1991
Foto Monumento "Ragazzi del Brentei" –
Piacenza.
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