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  Rec. di Milena Milani e Carlo Francou recensioni pag. 2  
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  BEATRICE BUSCAROLI
Segni in attesa.
 
  Dal catalogo della mostra personale alla Galleria LIBA di Pontedera (PI).

scultura Quella di Franco Pizzi (Saliceto di Cadeo, Piacenza, 1943) una storia che va narrata, una vicenda artistica che bisogna raccontare, più che interpretare. Salutato già nel 1973 da Mario Ghilardi come giovane valente pittore, Franco Pizzi subisce nello stesso anno la fascinazione della terza dimensione, complice l'incontro e l'amicizia di Lodovico Mosconi.
"Si può dire che il mio amore per la scultura sia nato allora, con il crescente gusto del gesto della modellazione, della terza dimensione, del sentire la mano dentro la materia viva da cui trarre un racconto di ritmi, di spessori lisci e levigati (.....) in un'interpretazione formale estremamente libera, tutta mia, senza iconografia, di atmosfera quasi astratta ma attraversata pur sempre da persistenti attenzioni al realismo figurativo della natura".
Questo Pizzi diceva di sè, aprendo la sua stagione del "Primo amore", quella romantica, istintiva legata alla "filosofia del fiore", intimamente legata più ad uno stato d'animo complessivo, che ad una intenzione di rappresentazione. E' una felicità nel leggersi dentro ben sintetizzata dalla dichiarazione dello stesso artista che rivela il suo entusiasmo dopo aver incontrato la sua dimensione espressiva: "Tutto ciò che sa di angoscia e di tragico mi disturba e mi opprime, esistere non vuol dire soltanto soffrire e dannarsi l'anima ma anche gioire, volare alto, conquistarsi un po' di felicità". In questo atteggiamento Pizzi dimostra la sua onestà intellettuale e il suo coraggio. Tutto il Novecento infatti si ubriacato di negatività, di introspezione cannibalesca, di avvilente nichilismo, dopo la colorata, rumorosa, incredibile avventura del Futurismo e della sua grande, irresponsabile spensieratezza.
L'opera di Pizzi significa una lunga stagione ricca di suggestioni evocative, carica di una sensualità ravvisata anche da Milena Milani nel 1990, un lungo periodo di apprendimento, di calibratura, di sensazioni interiori, di ascolto.
Una fascinazione per il concetto stesso di scultura, un oscillare tra il polo della figurazione allusiva ("Figura fiore", 1983) e quella descrittiva ("Giglio Farnese", 1981), continuando negli anni questa ricerca di una dimensione propria, seguendo solo scultura l'impulso della passione, del convincimento. Tale atteggiamento di carattere personale si conferma, quasi quindici anni dopo, anche nelle figure intere ("Adolescente", 1996, "Raffaella", 1997) o nel richiamo alla suggestione del fiore (Fiore–lampada votiva, 1997).
Franco Pizzi quindi segue Franco Pizzi che, a sua volta, insegue un significato proprio di scultura, solo apparentemente cercando sè stesso, solo riproponendo questi interrogativi tra sè e sè. Senza una apparente via di fuga verso l'alto, verso l'altrove rispetto a sè, pur restando, da scultore, quel che nel 1973 diceva Ghilardi del Pizzi pittore "Un figurativo moderno". Poi a riprova che la storia di Franco Pizzi la storia di una passione, l'indole a rivelare l'artista la strada che sale. Enio Concarotti, nel 1986 diceva "Dai un pò di bronzo in mano a Franco Pizzi e lui te lo mette in movimento", e ancora Beatrice Menozzi, più di dodici anni dopo:"Il sogno di Franco Pizzi stato da sempre quello di trasmettere alle figure scolpite la vibrante trasparenza di un tocco di pennello, cio il sacro fuoco della pittura". L'artista quindi non insegue le mode non emula le tendenze, non insegue padri e parenti stretti che lo conducono verso dinamismi futuristi, o intimismi romantici o collegamenti neoclassici. L'artista segue la sua passione. L'artista segue la sua passione che si sposta, come nei vasi comunicanti, da quella legata alla pittura, trasferendosi tout–court nella scultura, nuovo amore. E la passione lo ripaga dei molti anni passati ad ascoltarla intimamente, senza compromessi, senza le facili scorciatoie dell'epigonismo.
E' del 1997 la possibile svolta, definitiva, nelle opere di Franco Pizzi, quando le figure ricominciano a fluttuare, come nei dipinti di venticinque anni prima. scultura "La nuvola" e "Sulle nuvole", due bronzi di quell'anno, ridonano leggerezza alla rappresentazione, conferendo simmetricamente personalità alla descrizione. Nascono opere che portano in loro una cifra definitiva..."La grande aspirazione I II" del 1998 sono alfine rivelatorie della sensibilità trovata, della passione risolta nella leggerezza, nel minimale rappresentano senza eccessi, nel fluttuare delle forme, solcate dal vento impettuoso del significante trovato ("I poeti", "Omaggio a Goya", 1999. "Piccolo branco", "Dove andiamo", 2000. "Emersione", "Vortici", 2002).
E tanto pi queste componenti restano bilanciate tra loro, senza il prevalere dell'una sull'altra, quanto più la cifra di Pizzi diviene identificabile e risolta, tanto pi la figura fluttua, abbozzata, raggruppata, tanto più le tensioni espressive dell'artista trovano la loro giusta misura, in una sorta di contrappeso espressivo.
La storia di un'artista, la sua passione per l'arte, del suo lavoro sincero, continuo, salvatico. Un altro artista, un altro racconto, altre opere in giro per il mondo a raccontare la loro storia...

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